Skip links
Published on: BIFF Biblio Farandola Fumetto

Gulp! C’è Dante in quel fumetto!

Nel settecentesimo anniversario della morte, che quest’anno non si parlasse che di Dante Alighieri era prevedibile. Fino al punto che un personaggio politico si sia trovato a citarne una famosa frase dalla Divina Commedia. Peccato che la frase non fosse tratta dalla massima opera letteraria della nostra letteratura ma da una storia di Topolino.

A cura di Claudio Ferracci – Direttore Biblioteca delle Nuvole.

Che c’entra, direte voi? C’entra, perché in una fa-mosa storia di quelle che solo poi sarebbero state definite le “parodie Disney” capitò proprio che To-polino interpretasse il ruolo del sommo poeta (e Pippo quello di Virgilio). Non meno grave, direte, visto che il malcapitato (in epoca Facebook queste cose si pagano care) ha comunque confuso escrementi con cioccolata. E qui vi volevo, attenzione! Non si tratta di escrementi ma di un’opera (realizzata con il linguaggio del fumetto) ispirata a un’altra opera (realizzata con il linguaggio della letteratura e della poesia). Ordunque indossiamo la toga dell’avvocato difensore e tuteliamo il legittimo diritto de “L’Inferno di Topolino” di essere considerato a sua volta un’opera d’arte. Alcuni giornalisti o commentatori sembravano gridare allo scandalo non tanto per la citazione errata (peccato veniale) quanto per il fatto che provenisse da Topolino (mortale senz’altro nel nostro paese, come a dire che se l’errore lo avesse fatto con una frase del Manzoni sarebbe stato giudicato comunque un uomo di cultura). Guido Martina, lo scrittore che ebbe l’ardire di parodiare l’Inferno di Dante, era nato a Carmagnola, vicino Torino, nel 1906, e a Torino si era laureato in Lettere e Filosofia. Dopo aver insegnato per un breve periodo, si trasferisce a Parigi. Rientrato nel 1938 inizia a collaborare con Mondadori (in redazione lo chiamano “il professore”) traducendo storie americane di Topolino e Paperino, e nel frattempo collabora con la Rai (allora Eiar) occupandosi di una rubrica radiofonica. È qui che probabilmente conosce Angelo Nizza, Riccardo Morbelli (piemontesi) autori della trasmissione cult “I quattro moschettieri”, parodia radiofonica di grande successo del quasi omonimo romanzo di Alexandre Dumas padre, e Angelo Bioletto, torinese, disegnatore dei libri tratti dalle trasmissioni radio e delle famosissime figurine del concorso Perugina-Buitoni. È opinione comune che sia stata proprio la parodia radiofonica a ispirare a Martina l’idea dell’Inferno di Topolino, e il fatto che a disegnarla sia proprio Angelo Bioletto sembra confermare questa ipotesi. Bioletto dal canto suo era già un autore affermato, grazie alle figurine ma anche a una bella riduzione del Don Chisciotte pubblicata a puntate sul giornale a fumetti «L’Audace» nel 1939, nel periodo in cui face-va capo a Mondadori, sotto la direzione di Raul Radice e Federico Pedrocchi.

Di Pedrocchi è opportuno ricordare che è stato senza ombra di dubbio il primo autore Disney italiano. Infatti nel 1937 aveva ottenuto dalla Disney americana l’autorizzazione a produrre storie con personaggi disneyani, e avendo colto che Paperino, quanto a simpatia, aveva in Italia grandi potenzialità, aveva cominciato a scriverne e disegnarne storie “made in Italy” per la testata da lui stesso creata «Paperino e altre avventure». Le sue storie “avventurose” di Paperino, che in patria era protagonista solo delle tavole auto-conclusive di Al Taliaferro, furono le prime al mondo (la prima storia lunga statunitense con Paperino come protagonista, realizzata da Carl Barks, vedrà la luce solo nel 1942). Questo per dire che Martina non è il primo italiano a realizzare storie Disney, è solo il primo a usare Topolino, e che probabilmente se Pedrocchi non fosse malauguratamente stato ucciso dai colpi di un aereo alleato che aveva mitragliato un treno di pendolari, nel 1945, aveva tutte le carte in regola per essere il più grande sceneggiatore italiano anche nel dopo-guerra e questo primato sarebbe toccato a lui. Tornando all’Inferno, l’opera che Martina mette in piedi, oltre che divertente, colleziona diversi primati. Per la prima volta in una storia Disney vengono accreditati i testi, sulla vignetta/titolo di ogni episodio della storia (pubblicata a puntate sui nu-meri dal 7 al 12 del Topolino libretto alla fine del ’49) è riportata la dicitura “verseggiatura di G. Martina”. Gli altri autori italiani dovranno aspettare trent’anni prima che gli sia riconosciuto il “nome in ditta”. Altra caratteristica unica: la storia era stata concepita per il Topolino formato giornale (1), fu necessario rimontarla per adattarla al più piccolo formato tascabile (mentre la precedente prima storia di Marina e Bioletto, Topolino e il co-bra bianco, uscì in parte in formato giornale e in parte in formato libretto, rendendone difficoltosa ogni successiva ristampa). Inoltre, per la prima volta in una storia di Topolino è inserito un personaggio storico realmente esistito, in questo caso Dante. Altro importante primato, nella storia compaiono gli autori, che alla fine del viaggio di Topolino sono rappresentati come peccatori per aver “tradito” la Divina Commedia, punzecchiati da Dante stesso confessano l’uno di aver “fatto i disegni”, l’altro di aver “scritto i versi imitando la Divina Commedia”. I due sono disegnati incappucciati e legati a un palo dove campeggia il cartello “traditori massimi”, e solo l’intervento di Topolino e dei giovani lettori che compaiono a dar man forte convincono il sommo poeta ad assolverli “con la condizionale”. L’opera viene presentata con il sottotitolo Sinfonia allegra di Walt Disney; si tratta della traduzione di Silly Simphony, termine usato dallo studio Disney per indicare cortometraggi di animazione con protagonisti personaggi delle favole o simili; Mondadori vuole forse differenziare che l’opera è “diversa” da quelle provenienti dagli Usa e realizzate da Floyd Gottfredson (2). In effetti Martina non si cura di essere coerente con il lavoro dell’americano, anzi fa man bassa di personaggi Disney tratti dai lungometraggi di animazione. La grande capacità di Martina è quella, che oggi si è un po’ persa, di scrivere storie accattivanti per il pubblico di bambini e quello degli adulti. La struttura della narrazione è scandita da 958 versi disposti in terzine incatenate, condite di citazioni dalla “Commedia” ma anche da altre rime del poeta. “Il professore” è un vero acrobata nell’introdurre elementi e temi incompatibili con la letteratura per ragazzi, rendendoli divertenti ma al tempo stesso strizzando l’occhio al lettore adulto. È il caso dell’incontro di Topolino con il suo vecchio maestro (che rappresenta Brunetto Latini, condannato nel girone dei sodomiti) il quale dice di essere all’Inferno in quanto in vita “predicava bene e razzolava male”, ma il lettore attento può notare le eccessive attenzioni nei confronti del protagonista e la perplessità dello stesso. Allo stesso modo, giunti alle Malebolge, i nostri eroi trovano i dannati immersi negli escrementi, ma un fumetto ci spiega che si tratta di pece bollente. Anche gli innumerevoli riferimenti, mai più visti su Topolino, alla realtà sociale e culturale italiana del momento, rendono l’opera unica e godibile da un pubblico adulto (i tramvai affollati, i fiammiferi del Monopolio di stato che non si accendono, l’arbitro di calcio venduto, i ciclisti molesti…). Angelo Bioletto dichiarò più volte di non trovarsi a proprio agio sui personaggi Disney (e in effetti per quanto abbia fatto sempre un buon lavoro, eccelle soprattutto nei comprimari, o nel rappresentare la figura umana di Dante). Abbandonerà definitivamente il fumetto, dopo aver realizzato l’ultima delle tre storie tutte di Martina, Topolino e i grilli atomici, per dedicarsi solo all’illustrazione di libri per ragazzi ed enciclopedie. Il mondo del fumetto perde così un grande protagonista, che aveva dato il suo meglio nella caratterizzazione di quasi duecento personaggi legati alla trasmissione radiofonica di Nizza e Morbelli, molti dei quali raffinate caricature di personaggi famosi. Aveva anche collaborato al “character design” del lungometraggio di Anton Gino Domeneghini La Rosa dei Bagdad (3). Martina invece collaborerà con Topolino per tutta la vita, creando personaggi come Paperinik o il rivale di Paperone, il miliardario Rockerduck. Nel frattempo avrà modo di inventarsi altri personaggi famosi nel primo dopoguerra come Pecos Bill e Oklahoma. Sarà lui a coniare i nomi italiani di Paperon de’ Paperoni, Archimede Pitagorico e La Banda Bassotti, quando arrivano in Italia le prime storie del Paperino di Barks. Scriverà storie per tutta la vita, anche se negli ultimi anni della carriera molte di queste non saranno pubblicate, essendo giudicato troppo “libero” il suo approccio ai caratteri dei personaggi Disney, non in linea sempre con il “politically correct” instaurato dagli anni ’80. L’Inferno di Topolino rimane il suo “capolavoro”, tratto da un capolavoro.

Note al testo:

(1) Mondadori aveva avuto l’intuizione di trasformare il periodico in tascabile, anche per aver acquistato una costosa macchina da stampa che realizzava in quel formato la terribile rivista «Selezione del Reader’s digest», un prodotto smaccatamente filoamericano e anticomunista; la macchina aveva dei costi tali che farla stare ferma risultava antieconomico, e quindi Topolino assunse l’aspetto con cui ancora oggi lo conosciamo.

(2) Floyd Gottfredson rea-lizzò le strisce quotidiane di Topolino ininterrottamente per oltre quarantacinque anni, dal maggio 1930 all’ottobre 1975.

(3) Film d’animazione del 1949. Primo film italiano in Technicolor (titolo conte-so da I fratelli Dinamite di Nino Pagot, uscito lo stesso anno) e uno dei primi film europei e, nonostante sia considerato da alcuni il primo lungometraggio d’animazione europeo, è in realtà il secondo in quanto nel 1926 venne prodotto Achmed, il principe fantastico di Lotte Reiniger.